Una risposta alle croniche difficoltà di far fronte alle necessità della prima infanzia tramite strutture pubbliche è la normativa che semplifica la creazione di nidi familiari.
Attraverso la costituzione di associazioni di genitori si organizzano microgruppi di famiglie che si accordano per la cura e l’assistenza dei propri figli nella casa di uno degli stessi genitori.
I nidi famigliari possono infatti essere attivati con l’accoglienza da parte di famiglie, presso la propria abitazione (comprensiva almeno di cucina abitabile, 2 camere e servizi) o presso altri spazi idonei, di un numero massimo di 4 bambini nella fascia di età 6 mesi/3 anni (compresi i figli della famiglia ospitante), per un tempo giornaliero non superiore alle 5 ore consecutive.
Si tratta di un modello che in altri paesi europei è sempre stato utilizzato soprattutto al nord dalle madri che decidevano di lasciare il lavoro per badare ai propri bambini.
Con flessibilità e senza troppe catene burocratiche viene così offerto ai bambini un ambiente domestico accogliente e la compagnia di coetanei.
Ma non tutti sono d’accordo: si rischia di far scadere la qualità del servizio educativo e la formazione degli operatori e la sicurezza sono conquiste alle quali non bisogna rinunciare.
Queste sono le disposizioni della legge
Sarà possibile per famiglie e cittadini, sia in forma individuale sia in forma associativa, organizzare e gestire un asilo nido.
La nuova legge, ispirata ai principi di sussidiarietà e di libertà di scelta delle famiglie, permette infatti la nascita di servizi innovativi quali appunto i nidi familiari organizzati dalle famiglie presso il proprio domicilio; i nidi familiari o di quartiere destinati ai bambini che vivono in abitazioni limitrofegli; i micro nidi e gli asili nido sui luoghi di lavoro, previsti anche nella pubblica amministrazione e negli enti pubblici a integrazione o sostituzione del servizio pubblico.
Alle regioni e ai comuni va il compito di favorire l’attivazione di tali servizi.
In sede di Conferenza unificata Stato-regioni-città, si definiranno i criteri generali per la realizzazione dei servizi socio-educativi per la prima infanzia e quelli per l’autorizzazione all’apertura di un asilo nido o di un micro nido.
Negli ultimi 10 anni gli asili pubblici per i piccoli sotto i tre anni non sono aumentati, al contrario di quelli privati che sono passati dal 7 al 20% dell’offerta totale.
La percentuale di utenza infantile italiana è solo del 7%, contro la media del 30-40% dei Paesi del Centro e Nord Europa.
Si tratta di una percentuale bassa, se comparata a quella di altri Paesi europei, come Francia (dove il livello di copertura sale al 29%), Germania (10%), Finlandia (22%), Irlanda (38%) e Danimarca (64%).
Il dato trova conferma anche nella bassa diffusione di asili nido nel nostro Paese.
Complessivamente, nel 2000 se ne contavano poco più di 3.000.
La maggioranza era concentrato in Lombardia (567 asili nido pubblici e privati), seguiti dall’Emilia Romagna (403), Veneto (322), Toscana (253) e Piemonte (248), Sicilia (172) e Campania (102).
La situazione più critica è in Molise dove ci sono appena 5 asili nido, pari allo 0,2% del totale delle strutture, seguito dalla Valle d’Aosta con 11 nidi (0,4%) e dalla Basilicata con 28 (0,9%).
Altro problema è che gli orari di apertura e chiusura di questi asili spesso non coincidono con quelli lavorativi delle madri.
Il part time sarebbe una formula che ben si adatta alle esigenze di conciliazione dei tempi di vita delle donne.
Ma, malgrado gli incentivi e la promozione, nel nostro paese il ricorso all’orario di lavoro ridotto (al di sotto delle 30 ore)è ancora poco diffuso e interessa, secondo l’Ocse, solo il 23,5% delle donne che lavorano